Dietro uno sguardo dolce e due guance tonde non ti aspetti si nasconda una combattente. Ana ha 33 anni, è rumena ed è in Italia da 10 anni. Ha sofferto di endometriosi, una malattia femminile non facile da diagnosticare, determinata dalla presenza di cellule endometriali (la mucosa interna dell’utero) al di fuori della cavità uterina. E’ una malattia che determina un’infiammazione cronica con diversi livelli di gravità.
“La mia era di terzo grado, fra le più gravi. In Romania avevo fatto tante analisi ma nessuno ci aveva capito niente. Qui in Italia invece mi hanno operato e mi hanno tolto le ovaie e le cisti. Ora sono in menopausa indiretta da 4 anni”.
“Con mio marito siamo venuti in Italia perché lui pensava che qui fosse più facile trovare lavoro. In realtà, lui il lavoro non l’ha trovato subito, mentre io sì”.
“Ho fatto un po’ di tutto: ho aiutato nei ristoranti, in cucina. Mi piaceva molto, ma ho dovuto smettere perché dovevo stare fuori la sera e per mio figlio era una tragedia. Ora faccio la colf e lavoro solo di mattina. Così lo posso seguire”.
Ana ha un bambino di 8 anni, Nicola, con una diagnosi di iperattività/deficit di attenzione. Fa la seconda elementare. “L’ho lasciato un anno in più alla materna per avere il sostegno. Me l’aveva consigliato anche la psicologa che lo segue”.
“Ha crisi in cui urla, strilla, batte la testa contro il muro. Non è facile stargli vicino. Poi, quando gli passa e si rende conto di cosa ha fatto, si sente in colpa. Sentirlo dire frasi come ‘perché vivo?’, ‘sono la vergogna della scuola’ era terribile”.
“Tende ad abbattersi, non ha nessuna autostima. E non sopporta i cambiamenti, fa fatica ad ambientarsi. Ogni cosa nuova lo spaventa”.
All’inizio, l’inserimento nella scuola materna non è stato facile. “Mi chiamavano tutti giorni e io dovevo andare a calmarlo. Mi sembrava di avere due bambini diversi: uno a casa, tranquillo, e uno a scuola, impulsivo, aggressivo, intrattabile. Poi, parlando con il preside e le maestre la situazione è migliorata. Abbiamo creato un rapporto di collaborazione. Quando hanno capito che c’era una famiglia dietro è cambiato tutto”.
“A Nicola serviva qualcuno che lo rassicurasse, magari prendendolo in braccio e stringendolo forte. La maestra è stata meravigliosa. L’ultimo anno della materna non mi hanno più chiamato per farlo andar via prima. Anzi, non voleva più uscire da scuola”.
“Non ho mai avuto problemi con le altre mamme. Standogli accanto l’ho sempre fatto partecipare a tutte le feste, a tutti i compleanni, anche alle recite”.
Il bambino è costantemente seguito da una psicologa. “E’ privata e costa, ma al centro pubblico la lista di attesa era di quattro anni e non potevamo aspettare. Quando poi ci hanno chiamato non me la sono sentita di farlo cambiare. Sarebbe stato un trauma e avremmo dovuto ricominciare da capo. Ci è voluto molto tempo prima che si abituasse ad aver fiducia. Lei poi è bravissima e sa come prenderlo. Per noi è un grande sforzo economico ma ne vale la pena”.
Ana si era accorta che qualcosa non andava fin da quando Nicola aveva due-tre anni. “Ho sempre detto che non erano solo “capricci”. Quando abbiamo avuto la diagnosi di ADHD (Disturbo da deficit di attenzione/iperattività), all’inizio mi è venuto un attacco di panico. Poi è passato e mi sono messa a leggere libri, a studiare. Per capire e stargli vicino”.
“Ora ha fatto passi da gigante. Piano piano impara a gestirsi. L’importante è che non stia prendendo farmaci: non l’ha mai presi”.
La psicologa segue una terapia comportamentale che lo ha aiutato a ridurre le crisi. L’ADHD è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi.
“Va rinforzato positivamente, rassicurato. Le crisi gli scoppiavano per dei nonnulla: se non sapeva qualcosa, se perdeva a un gioco. Bisogna però stare attenti che non se ne approfitti. Vanno anche dati rinforzi negativi”.
“L’importante è non fargli mai vedere che si ha paura delle sue crisi. Altrimenti le usa per ottenere quello che vuole. E’ un equilibrio difficile. E in tanti momenti ho pensato di non farcela”.
Ana in Romania aveva conseguito il diploma di maestra, che qui, però, non vale. Ora sta facendo corsi per parlare meglio l’italiano. “Lo faccio per me e per lui. Glielo dico sempre che lui è il mio maestro e che impariamo insieme”.
Grazie viene alla Caritas da molti anni. “Da quando sono rimasta incinta. E mi sono sempre trovata bene. Anche quest’anno hanno organizzato la festa di Babbo Natale. Per i bambini conta tanto. Il mio era felicissimo. Neanche i regali di Natale avremmo potuto fargli. Siamo diventati amici”.
E non vuole tronare in Romania: “lì mio figlio sarebbe visto solo come un handicappato”.
Un bilancio? “Bisogna vedere la parte positiva delle cose e non mollare mai. Mio marito ha perso il lavoro: con il Covid l’azienda dove stava ha chiuso ed è rimasto disoccupato, ma Nicola in questi anni ha migliorato tanto.”
“Quello che vorrei far capire a mio figlio è che non possiamo essere sempre i migliori, né vincere sempre. E che, in fondo, vincere non ha importanza”.
“Vorrei che diventasse un adulto che sa andare avanti, emancipandosi a poco a poco. All’inizio, anche al Bambin Gesù mi avevano detto che non ce l’avrebbe fatta a seguire la stessa didattica degli altri. E invece, non è stato così. Lui segue lo stesso programma dei suoi compagni di classe. E di questo sono molto fiera”. “Non si deve mai dire non posso ma solo non voglio”.